Fondazione Cariplo lancia una nuova iniziativa puntando sulle fondazioni di comunità e sulle reti dei territori.

Con l’emergenza Covid-19 la povertà è cresciuta sensibilmente, colpendo anche fasce di popolazione che fino a poco tempo fa non ne erano toccate. Molte le tipologie di povertà in aumento negli ultimi mesi: alimentare, energetica, digitale, educativa….

Fondazione Cariplo già da tempo promuove iniziative per cercare di arginare questo problema. In aggiunta al progetto Qu.Bì per il contrasto alla povertà di 20mila minori a Milano, all’iniziativa Doniamo Energia realizzata in collaborazione con A2A, e al progetto nazionale di contrasto alla povertà educativa realizzato con l’impresa sociale Con i Bambini e le altre Fondazioni di Origine Bancaria, oggi Fondazione Cariplo,  all’interno dello specifico programma “Contrastare l’aggravio delle povertà” promuove la costituzione di Fondi Erogativi locali specificamente dedicati al tema povertà (“Fondi Povertà”). La Fondazione si è impegnata a destinare complessivamente 1.300.000 euro, a cui si aggiungono 300.000 euro messi a disposizione da Fondazione Peppino Vismara.

Ancor più che in passato, Fondazione Cariplo ritiene fondamentale costruire modalità di intervento che nascano dall’ascolto e dal protagonismo degli attori prossimi al bisogno, per declinare la sfida a seconda delle necessità, delle competenze e delle dinamiche territoriali.

Durante la prima ondata, linnesco e l’attivazione di fondi locali generò risorse per oltre 60 milioni di euro utilizzati per le necessità impellenti in quelle settimane. Ora l’emergenza riguarda direttamente persone e famiglie in difficoltà, e Fondazione Cariplo propone alle comunità locali di lavorare nuovamente insieme.

Anche in questa seconda fase, Fondazione Cariplo ha individuato nelle Fondazioni di Comunità  alleate e partner cruciali, per la loro capacità di aggregare competenze e risorse territoriali.

Ogni Fondazione istituirà un Fondo povertà che potrà essere implementato con proprie risorse e con donazioni raccolte dal territorio, coinvolgendo la comunità di riferimento. Tali Fondi saranno utilizzati per far fronte a necessità e urgenze del territorio sostenendo reti già esistenti e per attivare collaborazioni con soggetti del territorio in modo da affrontare il problema in modo integrato e coordinato, evitando sovrapposizioni. La scommessa di Fondazione Cariplo e Fondazione Peppino Vismara è che grazie al pluriennale lavoro delle Fondazioni di Comunità sul territorio sia più facile arrivare ai bisogni concreti della comunità, creare sinergie con gli enti locali e sostenere gli interventi più urgenti, che integrino i provvedimenti messi in campo da Stato, Regione e Comuni.

Infatti, attraverso i Fondi potranno essere sostenuti progetti presentanti da reti di soggetti non profit che dimostrino di essere complementari rispetto a servizi già esistenti sul territorio, in particolare con quelli promossi dagli enti territoriali.

Giovanni Fosti, Presidente Fondazione Cariplo: “In questo periodo la povertà sta crescendo, e stanno emergendo molti tipi di povertà: alimentare, digitale, energetica, culturale, tutte situazioni in cui le persone sperimentano l’impossibilità di accedere ad aspetti fondamentali per la loro vita. È un problema che riguarda tutti: perchè si tratta di un’ingiustizia inaccettabile, che aumenta le distanze tra le persone oggi e le amplifica nel futuro, e perché per crescere come paese abbiamo bisogno di comunità forti che sappiano prendersi cura dei più fragili. Fondazione Cariplo e le Fondazioni di Comunità hanno avviato una raccolta fondi perché contrastare la povertà è una priorità attorno alla quale dobbiamo unire le forze per costruire le condizioni del nostro futuro.”

Le sedici fondazioni di comunità Cariplo, nate a partire dal 1999 in Lombardia e nelle provincie piemontesi di Novara e del Verbano Cusio Ossola, sono Istituzioni filantropiche autonome e indipendenti che si propongono di attrarre e aggregare attori e risorse per realizzare iniziative di utilità sociale a favore delle persone del territorio su cui operano.
I bisogni delle comunità locali vengono affrontati promuovendo la cultura del dono e la partecipazione della cittadinanza, degli enti non profit, degli enti pubblici e delle aziende private.

Per il 2021 Fondazione Cariplo ha confermato un budget di 140 milioni di euro per le attività filantropiche identificando i nove obiettivi chiave che guideranno l’attività. Tra le priorità Fondazione ha stabilito di occuparsi delle conseguenze della crisi economica e sanitaria e aumenterà lo sforzo per intercettare le persone in povertà e migliorare la loro condizione di vita. Persone, lavoro, povertà, anziani, cultura, ricerca scientifica, sviluppo sostenibile, reti e comunità tra le parole chiave del 2021.

Il “Bando Sport un’occasione per crescere insieme” in collaborazione con Regione Lombardia, promuove la pratica sportiva come strumento di crescita, integrazione, prevenzione del disagio sociale giovanile e diffusione della cultura della non violenza. È rivolto a bambini e giovani di età compresa tra i 6 e i 19 anni bambini e giovani con disabilità di età compresa tra i 6 e i 25 anni.

Dopo quattro edizioni del bando, quest’anno Fondazione Cariplo e Regione Lombardia hanno lanciato “È di nuovo sport”, un fondo di 3 milioni e 785 mila euro per sostenere associazioni (Asd), società (Ssd) sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, comitati e delegazioni regionali costretti a fermarsi per il blocco delle attività durante l’emergenza sanitaria.

La Società Canottieri Lario Giuseppe Sinigaglia è un'associazione sportiva dilettantistica che nel 2006 ha avviato l’attività di Para-rowing, il canottaggio di coppia o di punta destinato ad atleti portatori di una disabilità.

Leonardo Bernasconi è il presidente dell’associazione: «Attualmente abbiamo con noi 20 atleti con diverse disabilità. Cinque di loro sono inseriti nelle attività pomeridiane con i normodotati. Nel corso degli anni hanno partecipato a gare regionali ma anche nazionali e internazionali. La maggior parte di loro sono ragazzi e ragazze con la sindrome di Down ma anche con altre disabilità mentali. Il più giovane ha 18 anni e il più vecchio 45 perché noi accogliamo tutti, non ne facciamo una questione di età. Con il Covid ovviamente è tutto difficile, abbiamo dovuto sospendere le attività e anche tutti i momenti ludici, le gite in barca, le feste. L’ultimo giorno prima del lockdown ho incontrato un papà, era tristissimo perché le famiglie fanno molto affidamento sullo sport per il benessere dei loro figli». Cristina, la mamma di Lavinia, una ragazza di 26 anni con la sindrome di Down, è una di loro: «Lavinia frequenta la “Canottieri Lario” dal 2013, noi abitiamo vicini al lago e lei vedeva le barche e mi diceva che voleva imparare a vogare. Io ero perplessa perché mia figlia è alta 1,45 ed è molto esile, mi sembrava uno sport inadatto a lei. Ma Lavinia insisteva e alla fine siamo andate, ero convinta che non se ne sarebbe fatto niente invece l’istruttore le ha detto “facciamo una prova”. Alla fine della prova ci ha detto che per lui si poteva fare e Lavinia era felicissima. All’epoca era l’unica ragazza, l’hanno subito inserita in equipaggio con i maschi e uno di loro era alto 1.80! A vederla faceva una tenerezza, lei così piccola. Ma non si è spaventata, ha legato subito con tutti ed è stata accolta benissimo. Aveva 19 anni ma presto ha iniziato a partecipare alle trasferte, e senza di me. Sono momenti importantissimi, in cui i ragazzi partono con gli allenatori senza genitori, fanno gruppo. Nel tempo si sono aggiunte altre ragazze e la solidarietà del team è aumentata. Per chi non ha un figlio con disabilità è difficile capire la capacità di organizzazione, il senso di responsabilità e di autonomia e la facilità a socializzare che i ragazzi acquisiscono con lo sport di squadra. È qualcosa che poi ha un effetto in tutti gli aspetti della loro vita, anche nel lavoro. Normalmente Lavinia lavora part time e si dedica tre volte alla settimana al canottaggio. Ma in questa fase di lockdown è molto triste perché non può fare nulla». 

Con il bando Coltivare Valore (che ha destinato in tre anni 8,2 milioni di euro di cui sono stati già erogati 5 milioni 440mila euro, finanziando 20 progetti) Fondazione Cariplo sostiene pratiche di agricoltura sostenibile in ottica agroecologica e sociale, come strumento di presidio e risposta ai rischi territoriali di carattere ambientale e come occasione di sviluppo economico locale attivando opportunità di inserimento lavorativo di persone in condizione di svantaggio, permettendo, attraverso accompagnamento, identificazione di un percorso formativo, tirocini e definizione di mansioni e modalità adeguate al tipo di svantaggio, un effettivo inserimento lavorativo.

Tra i progetti sostenuti, c’è La sostenibilità che include che coinvolge diversi partner (tra cui l’Università di Pavia) e che propone un modello di sviluppo locale basato sulla multifunzionalità dell’agricoltura, promuovendo pratiche eco-sostenibili di agricoltura sociale. Dopo aver recuperato 6 ettari di terreni agricoli incolti ha avviato la messa in coltura di orticole e di piante spontanee alimurgiche selvatiche e creato un "hub" per produzione e vendita agricola (esiste attualmente anche una linea di prodotti con il marchio del progetto).

La sostenibilità che include propone corsi di formazione (per operatori agricoli e per addetti cucina) di 100 ore per soggetti fragili: alcuni di loro sono già stati coinvolti nei tirocini formativi di avviamento al lavoro.  

Giovanna (nome di fantasia), 40 anni, è una di loro. Ha frequentato il corso di 100 ore per operatore agricolo e adesso lavora nella cooperativa cinque ore al giorno. Ha un’invalidità mentale al 100% ed è seguita dal CPS di Voghera. Moreno Baggini, il responsabile del progetto, racconta che Giovanna ha una storia di abuso alle spalle, una figlia avuta in giovanissima età che le è stata portata via appena nata. «Quando è arrivata da noi Giovanna quasi non parlava, e non riusciva ad avere nessuna interazione con gli altri» ricorda Moreno. Adesso sorride nella telecamera di Zoom e parla di sé volentieri: «prima di questo lavoro ho fatto la cameriera e la donna delle pulizie: pulivo in una casa di riposo, ma non avevo fatto amicizia con le colleghe. Finita la giornata, ognuna tornava a casa sua e mi sentivo molto sola. Adesso è tutto diverso, perché sono in mezzo alla natura e, da quando sono qui, sto meglio. Mi sentivo anche meno sicura di me stessa, ma questo lavoro mi ha dato sicurezza perché mi sembra di farlo bene. Ho imparato a coltivare le piante, ma anche la trasformazione del prodotto come fare le conserve e i minestroni pronti che vendiamo perché mi piace cucinare. Adoro la natura. Non mi spaventa l’inverno, stare all’aria aperta mi piace in tutte le stagioni». Aggiunge Moreno: «prendersi cura delle piante è un po’ come prendersi cura di sé, è un’attività contagiosa e nell’ambiente agricolo si impara a fare di tutto e si sta insieme agli altri. La felicità di Giovanna, che non parlava e ora riesce a fare una conversazione con una persona sconosciuta su Teams e delle persone che hanno fatto il suo percorso, è la più grande soddisfazione per noi, è il senso del progetto. Il Covid ovviamente sta rallentando tutto, non possiamo più fare i mercatini, le attività scolastiche e nemmeno i corsi. Ma riprenderemo appena possibile, perché c’è davvero bisogno. Giovanna durante il primo lockdown è stata malissimo, pensava che fossimo noi a non volerla più, la continuità è fondamentale per le persone che hanno delle disabilità mentali».  

Tra i 166 progetti sostenuti dal bando “Partecipazione culturale” tra il 2014 e il 2018 con un contributo complessivo pari a 15,3 milioni di euro, con l’obiettivo di promuovere una domanda di cultura che punti su fattori qualitativi e innovativi di fruizione, condivisione e partecipazione e in grado trasformare i luoghi della cultura in presidi di cittadinanza e coesione, c’è il “Festival del Silenzio” una manifestazione (già realizzata in due edizioni alla Fabbrica del Vapore di Milano) totalmente accessibile sia a soggetti sordi che udenti, sia a chi utilizza la LIS che a chi non la conosce, sia a italiani che a stranieri. Nel Festival, tra le altre cose, vengono proposti spettacoli di teatro con drammaturgia segnante, spettacoli di danza, mimo contemporaneo, teatro fisico e visivo, spettacoli internazionali accessibili anche a chi non conosce la lingua italiana; visual vernacular (forma artistica di espressione fisica di storytelling), concerti di musica fruibile anche da sordi, basati su una scrittura delle frequenze più basse che vengono percepite sensorialmente,

Cesare Benedetti è uno dei fondatori dell’associazione culturale Fattoria Vittadini che ha ideato il Festival: «Abbiamo una compagnia di danza e gestiamo uno spazio culturale con attenzione ai pubblici più fragili con un tipo di approccio non “abilista” alla disabilità. Nella nostra storia ci siamo specializzati nel rapporto con al comunità sorda scoprendo la ricchezza della produzione poetica della lingua sei segni, una lingua a cui però è difficile accedere per i non udenti. È nata così l’idea di creare una vetrina per unire i due pubblici, quello delle persone udenti e non udenti. Il Festival del Silenzio non è una manifestazione per sordi ma per tutti, con un doppio intento: costruire dei percorsi artistici accessibili ai sordi, che spesso non vanno a teatro perché le barriere alla fruizione sono troppe e alle persone udenti di godere di un altro punto di vista, un altro linguaggio».

Matteo Pedrazzi, non udente, al primo anno è stato “solo” spettatore del Festival, al secondo è diventato responsabile dello staff, oltre che performer in uno spettacolo: «Ho sempre amato il teatro, fin dalle elementari. E, frequentando scuole speciali per persone sorde fino alla fine delle superiori, ho sempre potuto partecipare ai corsi e alle esibizioni che venivano proposte a scuola. Alle superiori si trattava di un’attività curriculare. Ero molto timido, all’epoca, e avevo un po’ di difficoltà relazionali. Il teatro era l’unico ambiente dove riuscivo a esprimermi, ha sempre avuto un effetto benefico e, nel tempo, mi ha reso più estroverso.

Quando ho terminato il liceo, ho provato a vedere se nella mia città, Brescia, ci fossero dei corsi per persone non udenti. Ho contattato l’Ens (Ente Nazionale Sordi) ma non era mai stato attivato nulla in questo senso, ho provato a proporre io di organizzare corsi, ma mi sono scontrato con la difficoltà nel reperire fondi. Mi sono arrangiato come autodidatta, ho studiato e, quando sono diventato insegnante Lis a Brescia ho provato a creare un gruppo di teatro nell’Ens della città. Ma facevo fatica, le persone non erano stimolate: il compito più difficile era quello di dimostrare che esistono artisti sordi, se la comunità sorda non è abituata a frequentare il teatro fa anche fatica a immaginarsi che esistono. Manca un passaggio di identificazione: ciascuno ha un suo vissuto molto personale e nella comunità sorda ci sono tante persone con problematiche di integrazione. Proprio per questo è importante trovare nella società ruoli e mestieri in cui identificarsi, perché se non lo so non esiste nemmeno per me. Quando ho incontrato Cesare, lavoravo già in ufficio e, allo stesso tempo continuavo la mia attività di insegnante Lis: lui mi ha proposto un corso di teatro danza, si trattava di un progetto di integrazione tra persone sorde e udenti. E ho capito che cosa volevo fare: utilizzare il mio corpo come strumento comunicativo. Così è nata la mia collaborazione con la Fattoria Vittadini e, nella seconda edizione del Festival, sono diventato il coordinatore dello staff e performer

Io credo che la contaminazione tra le due culture, quella sorda e quella udente sia fondamentale e solo da lì passi una vera integrazione. Ho fatto molta fatica nella mia vita a realizzarla, ma dopo il Festival del Silenzio ho visto che è possibile. La danza e il corpo sono un linguaggio universale,e approcciarmi solo per avere una soddisfazione visiva era possibile anche prima per me, quello che si portano dietro in più le performance del Festival del Silenzio è che lo spettatore è coinvolto nel processo cognitivo, perché lo spettacolo è concepito dall’inizio non come un’opera destinata solo a spettatori udenti, basata sui loro parametri, perché non bastano i sottotitoli per godere di un’opera lirica, ma è necessario integrare i due sguardi fin dall’inizio. Lo staff di lavoro del Festival è misto: persone udenti e non udenti, persone di altri paesi, sorde e non, interpreti della lingua dei segni internazionale. Io ho visto i volontari e chi ci lavorava cambiare davvero nei giorni in cui siamo stati insieme e io sono cambiato con loro: le barriere svanivano. l Festival è il germoglio di quello che vorrei se posso sognare: l’eliminazione delle etichette persona cieca, sorda o straniera ma persona con un suo messaggio, un suo talento, una sua capacità e specificità. Se gli artisti riescono a comunicare questo, la speranza è che questo messaggio passi nella comunità e in tutti gli ambiti, non solo quello artistico».

Fondazione Cariplo promuove l’attività di ricerca che ha lo scopo di identificare soluzioni innovative a problemi che limitano il benessere complessivo della persona e le condizioni di disagio psico-fisico temporaneo o permanente legate a malattia ma anche al processo d'invecchiamento. 

CREW (Codesign for REhabilitation and Wellbeing) è un progetto di ricerca sostenuto da Fondazione Cariplo con 5 milioni di euro per la realizzazione di soluzioni tecnologiche nel campo dell’abilitazione, della riabilitazione motoria e cognitiva e dell’inclusione sociale di persone con disabilità. L’obiettivo del Progetto CREW è quello di migliorare la qualità della vita della persona che vive in una condizione di disagio, scegliendo di adottare un approccio globale, integrato e multidisciplinare che tenga conto di tutte le dimensioni che influenzano il benessere: quella fisica, quella psicologica/emozionale e quella sociale coinvolgendo non il solo sapere medico, ma anche conoscenze di natura psicologica e sociale e esperienziale.

Da qui la scelta di adottare il metodo della coprogettazione: per la prima volta sono stati sviluppati laboratori di ricerca che coinvolgono ricercatori, istituzioni, educatori, famiglie, pazienti e imprese con l’obiettivo di ideare e realizzare per il mercato oggetti di uso quotidiano che migliorino l’esistenza delle persone con disabilità.

Sei progetti sono stati selezionati per essere finanziati e arrivare alla fase di prototipazione. Due di questi sono già stati testati e stanno per essere commercializzati:  

  • Mosaic è un kit multimediale pensato per l’inclusione dei bambini con disabilità cognitive, con particolare focus sul disturbo dello spettro autistico, che frequentano la scuola primaria. È costituito da oggetti “smart” e dal software (installabile sulle lavagne multimediali e i pc presenti nelle scuole) per la creazione e fruizione di esperienze ludico-didattiche programmate in base agli interessi e alle necessità del bambino. Offre inoltre un percorso per la formazione dei docenti su temi legati all’autismo e all’utilizzo della tecnologia Mosaic. Gli oggetti del kit sono personalizzabili e permettono lo svolgimento di diverse attività mirate per accompagnare il bambino nell’apprendimento e nelle interazioni sociali con l’insegnante ed i compagni di classe. Il kit è composto da: 6 Smart Cube, 2 controller MOMO, Smart Tag (delle etichette con tecnologia NFC che rendono interattivi gli oggetti su cui vengono applicate) e un Libretto di attività preconfigurate ideate dagli esperti del team. Mosaic è già stato testato in venti scuole.  
  • Grippos è un configuratore parametrico online per creare oggetti personalizzati e stampabili in 3d. È stato ideato per risolvere il problema di “presa di oggetti” di uso quotidiano. Grippos consente di personalizzare, adattare, modificare un oggetto secondo le proprie esigenze e introduce nuovi processi collaborativi nell’ambito della cura. Il primo oggetto proposto in piattaforma è un “apriporta” utile per coloro che hanno una funzionalità compromessa delle mani oppure per chi vuole ridurre le possibilità di contagio batterico e virale (es. SARS-CoV-2) causato dal contatto mano-maniglia. L’apriporta contente di girare la maniglia e tirare la porta con l'avambraccio e non con la mano. In Grippos, sono inoltre inseriti un portatazza e un portaposata in fase di sperimentazione in alcuni centri riabilitativi italiani. Grippos è un servizio pensato nell’ambito del design for all indirizzato a chi è al centro del processo di acquisizione dell’autonomia personale con diversi livelli di abilità e con bisogni differenti. È pensato per chi intende adottare soluzioni digitali per migliorare la quotidianità di persone con differenti abilità, consente oltre la personalizzazione degli oggetti, l'esportazione di file stl e fornisce all'occorrenza anche un servizio di stampa e spedizione.

Le storie 

Elena Silvagni e Cristina Albusceri sono due maestre della scuola primaria di Rho “San Carlo e San Michele”, uno degli istituti che ha partecipato alla sperimentazione di Mosaic: «Abbiamo utilizzato Mosaic in due classi del primo ciclo. Inizialmente il materiale è stato proposto solo ai due bimbi con disturbi dello spettro autistico, col tempo abbiamo avviato attività più strutturate per coinvolgere il resto della classe. Nella prima fase, i bambini hanno quindi potuto esplorare Mosaic liberamente e sono stati subito felici e attivi, ce lo richiedevano spontaneamente. Poi abbiamo creato piccoli gruppi all’interno della classe e abbiamo sperimentato le attività della piattaforma, di tipo didattico e anche giochi. Nel kit sono presenti diverse proposte già strutturate, che possono essere modificate a seconda delle proprie esigenze attraverso un’applicazione. Per esempio a Natale abbiamo creato un calendario dell’avvento interattivo utilizzando i cubi del kit. Il nostro obiettivo non era tanto didattico, ma di relazione e di costruzione di legami con i compagni. Per i bambini con un disturbo dello spettro autistico non è sempre facile perché spesso non vengono capiti. Mosaic è uno strumento tecnologico pensato per loro e che quindi non solo è accattivante ai loro occhi ma consente di sperimentarsi con successo. Mobilitano risorse che pensavano di non avere, si scoprono “abili” e anche lo sguardo dei compagni su di loro cambia e questo facilita moltissimo un clima di inclusione e rende la relazione più facile».

Lucrezia è la mamma di Alessandro (nomi di fantasia), uno degli allievi delle maestre Elena e Cristina.
Alessandro è un bambino di sette anni a cui è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico: «Mio figlio ha un funzionamento cognitivo buono, l’aspetto su cui bisogna lavorare di più è quello della relazione e non quello didattico. Da quello che le maestre mi hanno riferito da subito, la finalità dell’utilizzo di Mosaic era proprio quello dell’inclusione nel gruppo classe, quindi io sono stata da subito molto contenta della sperimentazione. So dalle maestre che il kit è stato utilizzato per molte attività, a partire da quelle di conoscenza tra compagni di classe, perché l’anno scorso erano in prima elementare e dovevano familiarizzare. Alessandro non riporta moltissimo a me e mio marito, ma dei “Cubi di Mosaic”, come li chiama lui, ci ha parlato, era affascinato dalle luci, dai colori, dal fatto che vibrasse. Ma abbiamo capito quanto ne fosse stato conquistato quando l’ha inserito nei regali della letterina di Natale. Questa cosa ci ha colpito tantissimo, significava che lui non vedeva Mosaic come uno strumento didattico, ma come un gioco e qualcosa che comunque lo faceva stare bene. Sapevamo che non era possibile acquistarlo e prima di rileggere insieme ad Alessandro la lettera di Natale, abbiamo parlato con le maestre e stabilito insieme che cosa dirgli, perché ci dispiaceva che rimanesse deluso: gli abbiamo spiegato che Babbo Natale non poteva portarlo ai bambini singolarmente perché si trattava di un oggetto destinato a essere condiviso da tanti bambini. Lui ha capito e ha continuato a utilizzarlo a scuola con gioia. Proprio in questi giorni ce lo ha rinominato, ma quest’anno Proprio in questi giorni ce lo ha rinominato, e attendiamo di poter tornare a condividere materiali didattici in classe, non appena superata l’emergenza Covid».

L-inc è,uno dei progetti della terza edizione del bando “Welfare di comunità” di Fondazione Cariplo (che in quattro anni ha sostenuto 37 progetti per 36,5 milioni di euro di contributi deliberati) attivo nel territorio di Cinisello Balsamo e capitanato da Anffass Lombardia. Nasce con l’obiettivo di trasformare i servizi rivolti alla disabilità (intellettuale e fisica), rimettendo al centro la persona, con i suoi bisogni e le sue ambizioni a partire dall’integrazione e dall’ottimizzazione delle risorse già presenti sul territorio. Per ognuna delle 60 persone che sono state prese in carico è stato sviluppato un progetto per rispondere ai suoi bisogni specifici, coinvolgendola nell’ideazione del suo percorso individuale, con lo scopo di offrire gli strumenti per raggiungere il maggior grado di autonomia possibile e attivando allo stesso tempo la comunità locale, per promuovere una società più sensibile ai temi della disabilità e più inclusiva. 

Monica Pozzi è la referente territoriale del progetto: «nel trattare con la disabilità si è spesso partiti dall’emergenza o dall’ascolto dei problemi delle famiglie, un percorso che però trascurava la persona con disabilità.  Attraverso L-inc siamo partiti dai desideri e dai bisogni della persona e abbiamo costruito insieme a loro dei percorsi individuali: qualcuno in particolare desiderava l’autonomia abitativa, altri progetti di formazione, qualcuno voleva partecipare a corsi di sport o teatro aperti a tutti, insieme a persone senza disabilità per essere inserito in contesti più sociali. Coinvolgendo il territorio, abbiamo avviato corsi di autodifesa, tirocini in negozio, volontariato, adesso stiamo realizzando una collaborazione con le farmacie comunali di Cinisello sia per l’offerta di tirocinii che per altri progetti, come il miglioramento dello spazio in farmacia per renderlo più fruibile alle persone con disabilità».

Tra chi desiderava in particolare l’autonomia abitativa c’è Stefano Morano, 37 anni, affetto da tetraparesi spastica. Stefano è riuscito a realizzare il suo progetto e, dopo quasi 20 anni in una comunità, ora vive in un appartamento della Casa Arcipelago di Cinisello, un progetto finanziato da Fondazione Cariplo: «Quando mia nonna, con cui ho sempre vissuto, è mancata mi sono ritrovato da un giorno all’altro in comunità. Non avevo nemmeno 18 anni e fino a quel momento, avevo sempre frequentato scuole pubbliche, quindi avevo a che fare solo marginalmente con il mondo della disabilità. Improvvisamente mi sono ritrovato proiettato in un luogo abitato solo da disabili fisici, come me, o intellettivi, la disabilità è diventata una grande fetta della mia giornata. Ho sentito da subito fortissimo il desiderio di autonomia, di una soluzione diversa, ma mi dicevo: se non riesci nemmeno ad andare in bagno da solo dove vuoi andare? Come puoi pensare di abitare in una casa normale? Era frustrante e doloroso. Nel 2013 ho iniziato un percorso di fede che mi ha aiutato, ho iniziato a fare tantissima fisioterapia e le mie capacità motorie sono migliorate moltissimo. Anche se non potevo camminare, riuscivo a far la doccia e andare in bagno da solo. Ho capito che forse il mio desiderio non era così assurdo, ma aveva delle radici di concretezza. L’assistente sociale però non mi capiva, si basava molto sulle carte, non viveva la mia quotidianità e i miei miglioramenti, ho fatto fatica anche a convincere alcuni operatori della mia comunità, alcuni mi dicevano: “non ce la farai mai”, ma io invece volevo farcela. Poi ho incontrato Monica che mi ha ascoltato, sono stato inserito in L-inc. Non è stato facile, ci sono voluti anni, ma adesso sono qui, nel mio bilocale. Insieme a me abita Marco, il mio assistente. Ricevere le chiavi di casa è stata una sensazione davvero emozionante: adoro cucinare, fare la spesa scegliendo io che cosa desidero comprare, fare la lavatrice e soprattutto decidere come passare la giornata, i miei orari, andare a letto quando voglio, invitare chi desidero. In comunità dovevo andare a dormire alle 23 e, se uscivo, ero obbligato a rientrare a mezzanotte. Ero insieme agli amici e continuavo a controllare l’orologio, come un adolescente con l’orario di rientro. Ringrazio ovviamente tutte le persone che mi hanno aiutato ma anche la mia determinazione. Posso ancora migliorare: stiamo costruendo un vassoio che mi dà la possibilità di apparecchiare e sparecchiare da solo, sto valutando di motorizzare la carrozzella per essere più indipendente anche nell’ambiente esterno, voglio diventare sempre più autonomo, anche perché sto iniziando un percorso di inserimento lavorativo».

Il 3 dicembre si celebra la Giornata internazionale delle persone con disabilità. L’epidemia di Covid-19, il lockdown e la chiusura o limitazione delle attività dei servizi, stanno impattando in maniera importante sulle persone con disabilità, i caregiver famigliari e le attività del terzo settore.

Fondazione Cariplo, con l’impegno di tutte le sue aree – Ambiente, Servizi a lla Persona, Arte e Cultura e Ricerca Scientifica – sostiene e promuove di progetti di inclusione sociale, autonomia abitativa, inserimento lavorativo, ricerca innovativa, fruizione culturale e sportiva e realizzazione di percorsi di vita indipendenti per le persone con disabilità. In una fase in cui l’emergenza sanitaria mette a rischio le attività degli enti del terzo settore, destinare risorse per la sopravvivenza di questi progetti diventa ancora più cruciale.

In occasione di questa giornata, desideriamo raccontare alcuni di questi progetti e dare voce alle storie delle persone che li abitano.

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