Nel centro di Desio c’è una cascina che si apre in una corte verde. Sui lunghi ballatoi si affacciano appartamenti dove vivono perlopiù vecchietti soli, escono per fare la spesa, o per curare le piantine che abbelliscono la loro porzione di ballatoio. Qui c’è anche “La casa di Giada”. È un appartamento che ospita ogni settimana persone con disabilità che partecipano al progetto “TikiTaka Equiliberi di essere”. Insieme agli operatori, fanno esperienza di “vita vera” con la prospettiva di abitare, in futuro, in autonomia. A turno fanno la spesa, cucinano, dormono, scelgono come passare la serata. D., 25 anni, ha la sindrome di down: «A casa decide mia nonna cosa si mangia, a me va bene tutto. Però mi piace scegliere». Oggi il menù prevede pasta all’arrabbiata, saltimbocca, insalata. L’unica preoccupazione di D. è che, quando non c’è lui, la nonna si ricordi di prendere le sue pastiglie, è molto protettivo e va d’accordo con gli anziani, infatti sta facendo un tirocinio in una casa di riposo. Il programma per la serata non è ancora stato stabilito: «Forse andiamo al cinema» ipotizza Alessandro Filippi, l’operatore della cooperativa “Il Seme” che segue i ragazzi: «a loro piacciono anche molto il bowling e il mini golf. L’autonomia passa anche da queste piccole decisioni, cosa fare nella propria serata, che vestiti indossare, cosa mangiare. All’inizio erano molto spaventati dal pensiero che la mamma e il papà non sono eterni, ma iniziando a progettare la propria vita si sono sentiti via via più sicuri». Nella “Casa di Giada” succedono anche cose bellissime, perché è così che avviene quando le persone si mescolano. Qui V., 28 anni, un ritardo mentale dalla nascita arriva con il batticuore perché incontra il suo fidanzato, si sono conosciuti in questo appartamento: «Lui mi dice sempre che è stato fortunato a incontrarmi, anche io penso la stessa cosa». V. sogna di andare ad abitare con lui un giorno, ma ci sono ancora un po’ di cose da imparare: «Ho il terrore di accendere la manopola del gas, nella casa di Giada va meglio perché ci sono le piastre a induzione». I ragazzi hanno una nonna speciale, è Silvia “per l’anagrafe Silvestra” specifica lei. È una delle vecchine che abita gli appartamenti affacciati sul ballatoio. I ragazzi e gli operatori l’aiutano a cambiare le lampadine, a sistemare la televisione quando non si accende. Lei in cambio fa la pizza insieme a loro, cucina torte: «Io abito qui da 18 anni, sono sola e quando vengono qui passo la serata con loro. Dovrebbe vederli come sono bravi a fare la pizza, uno tagliava i wurstel, l’altro il salame, uno spianava la pizza. Le ragazze sono più brave con le torte, invece. Poi quando cuciniamo loro vogliono che mi fermi con loro a mangiare, uno mi chiama zia, questi ragazzi mi fanno commuovere, mi rubano l’affetto».

Tikitaka è un progetto avviato nel distretto di Desio-Monza per innovare il sistema di welfare in sostegno alle persone con disabilità, facendo sì che le persone con disabilità non siano considerate unicamente come utenti di servizi, ma come persone che possono realizzare il proprio percorso di vita all’interno della comunità di appartenenza. Tikitaka è uno dei progetti sostenuti dal Bando Welfare di Comunità e Innovazione sociale di Fondazione Cariplo.

Le foto di questa gallery sono state scattate da Fedele, Aquil e sono in mostra alle Gallerie d'Italia – Piazza Scala. Clicca qui per altre info > bit.ly/13storiedallastrada #riscatti

 

Si terrà l’8 luglio dalle 11 alle 12:30 l’evento Milano #ConiBambini, organizzato insieme a Fondazione Cariplo. L’appuntamento è per le 10:30 per la registrazione presso il Centro Congressi Fondazione Cariplo (Via Romagnosi 8).

La giornata si aprirà con l’intervento di Giovanni Fosti Presidente Fondazione Cariplo, seguirà Giorgio Righetti Consigliere di amministrazione Con i Bambini e Direttore Acri, Simona Rotondi Attività Istituzionali Con i Bambini, Franca Locati Progetto Primi Passi – Polo Sperimentale per la prima infanzia;  Francesca Silva Progetto #Tu6scuola.
Concluderà i lavori Stefano Buffagni Presidente Comitato di Indirizzo Strategico Con i Bambini e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Modera Geppi Cucciari

Nel corso della giornata saranno diffusi i dati del Rapporto sulla situazione degli asili nido a Milano e in Lombardia realizzato da Con i Bambini e Openpolis. 

Per partecipare è necessario iscriversi: milano-conibambini.eventbrite.it

La “sala riunioni” della palestra dell’associazione di circo contemporaneo Quattrox4 è un cortile ombreggiato da un pergolato fiorito. Da qui si intravedono gli allievi che si allenano: la grazia silenziosa delle acrobazie dei corpi nell’aria è interrotta ogni tanto dalla vibrazione attutita di un atterraggio. C’erano una volta il tendone, i leoni, i lustrini: «E anche l’exploit fine a se stesso. Il circo tradizionale metteva in scena una sorta di percorso dal facile al difficilissimo che si esauriva con l’applauso catartico: vedevi il giocoliere lanciare 2 clave poi 3 poi 5 e così via. Il circo contemporaneo scardina il concetto di virtuosismo, senza eliminarlo. Io le 5 clave le so fare, catturo la tua attenzione, ma poi passo alla mia compagna un fiore che lo mette nella scarpa. Attraverso le cinque clave ho attirato il pubblico, poi ho fatto un’altra azione che per noi ha un significato, racconta una storia». Filippo Malerba è il fondatore dell’associazione Quattrox4, indossa camicia e pantaloni lunghi: è vestito come un impiegato, ma ha i piedi nudi. Tra poco si spoglierà dei suoi vestiti borghesi e afferrerà una corda nell’aria, e poi un’altra. Il suo sfondo è una grande palestra con i muri dipinti di nero che ogni sera diventa una comunità di allievi e artisti e di giorno si popola di bambini che vengono a imparare le arti circensi: «Attraverso il circo esploriamo la dimensione della socialità. Abbiamo fondato una compagnia e collaboriamo con artisti europei e italiani che invitiamo alla nostra rassegna Fuori Asse. È come una stagione teatrale, solo che gli appuntamenti sono tutti legati al circo. Vogliamo scardinare il pregiudizio “sono già andato al circo” perché il circo contemporaneo è un’altra cosa». Qualcosa di molto più vicino al teatro, che ha mandato in soffitta il toupet di Moira Orfei e anche la tradizione familistica: «Veniamo tutti da background diversi e facciamo circo perché ci piace, non siamo una famiglia ma una comunità e con le altre realtà come noi c’è molta più condivisione che competizione». Ma la sensazione di pancia che ti mozza il respiro quando vedi qualcuno come Filippo sospeso a decine di metri dalla terra senza protezione quella no, non va mai in soffitta: «condividere è fondamentale: siamo consapevoli di fare cose pericolose e abbiamo bisogno della vicinanza fisica e psicologica degli altri artisti mentre proviamo: dare e ricevere assistenza è alla base del circo, perché se fai un passo falso non sbagli il calcio di rigore, ti fai male. Il circo cambia nel tempo eppure rimane quella dimensione in cui avverti il pericolo nella pelle».

La rassegna Fuori Asse è sostenuta all’interno del progetto FUNDER35. Nato nel 2012, mira ad accompagnare le imprese culturali giovanili nell’acquisizione di modelli gestionali e di produzione tali da garantirne un migliore posizionamento sul mercato e una maggiore efficienza e sostenibilità. Un’iniziativa che ha concentrato le risorse 18 fondazioni aderenti all’Acri, l’associazione che riunisce le fondazioni di origine bancaria in Italia, con Fondazione Cariplo in qualità di capofila.  

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La fine dell’estate regala melanzane lucide e cetrioli così saporiti che sembrano meloni bianchi. I soci di “Controcoltura”, che gestiscono questo pezzo di terra di 5000 mq tra la Martesana e i confini del Parco Agricolo Sud, sono orgogliosi di farli assaggiare ai visitatori. Nonostante l’afa e le zanzare, c’è un sacco di gente: chi zappa ancora e chi si rilassa all’ombra di una tettoia, al termine di una lunga giornata assolata. Ragazzi con il piercing, vecchine in grembiule fiorato, cani e bambini. Mido e Riccardo, che non hanno nemmeno 27 anni, raccontano come è successo che un’associazione di quattro ragazzi in nemmeno 4 anni adesso conta 142 persone: «Eravamo tre amici e ci piaceva coltivare, ma a disposizione avevamo solo un piccolo balcone. Un giorno ci siamo presentati all’assemblea degli orti dei pensionati e abbiamo chiesto se ci potevano affidare un appezzamento. Ci hanno accolto molto affettuosamente, ma la risposta è stata: “tornate tra 40 anni” perché il regolamento prevedeva che gli ortisti fossero pensionati. Il Comune però ha capito che c’era questa esigenza anche da parte dei giovani. Abbiamo partecipato a un bando pubblico per questo terreno di circa 5000 mq e abbiamo vinto». Nell’orto condiviso si decide insieme che cosa coltivare e ogni frutto della terra è di tutti. Il socio più giovane ha 8 anni, quella più anziana Mido e Riccardo non lo dicono “se no si arrabbia”.

«Coltiviamo solo cibo biologico sostenibile, sono banditi tutti i pesticidi chimici. Poi ci piace sperimentare, andiamo alla ricerca di tutte le varietà di ortaggi, anche quelle che stanno scomparendo e partecipiamo a scambi di semi». A ogni appuntamento si presentano in migliaia, incontri dove ognuno arriva con il suo prezioso sacchetto: chicchi di frumento toscano in cambio di carote bianche, cavolo lucano e melo trentino. I semi sono custoditi come gemme preziose ma non si vendono e non si comprano, si scambiano in un viaggio dentro e fuori la terra, attraverso il mondo e rigorosamente senza denaro. E poi ci sono i bambini, non solo quelli i figli dei soci, ma tutti quelli che abitano nel Comune: «Abbiamo inventato il progetto “Orto libera tutti”: andiamo nelle scuole d’infanzia del Comune a fare l’orto con i bambini. E gestiamo il centro estivo qui da noi, io credo sia molto importante avvicinare i bambini alla natura fin da piccoli, se uno impara a rispettarla fin da piccolo continuerà a farlo, e magari rispetterà di più anche gli esseri umani. E poi è anche grazie ai bambini se ora siamo 142, perché sono stati loro a portare i genitori». Il sabato è il momento del mercatino: «chi lavora nell’orto nella settimana porta via la sua cassetta, chi non è riuscito a venire lascia una piccola sottoscrizione per prenderla». Nell’equilibrio che salda la natura nel sole che si è intiepidito e filtra tra gli alberi, nel verde lucido dei cetrioli, nei cani che hanno smesso di abbaiare e ora sonnecchiano, Mido lancia una proposta che viene subito accolta da tutti: «Facciamo una grigliata?». 

Agroecologia in Martesana è un progetto sostenuto Fondazione Cariplo nell’ambito del Bando Comunità Resilienti che supporta iniziative per contrastare le criticità ambientali delle comunità più vulnerabili. Il bando ha permesso di attivare iniziative di cura del territorio, promozione del benessere e della salute delle comunità e valorizzazione delle risorse ambientali locali e delle produzioni sostenibili.

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Via Giambellino 143, periferia sudovest di Milano. Nelle voci della gente si mescolano il milanese, l’arabo e il romeno e più ci si allontana dal centro più le crepe sui muri delle case si addensano. Però il 143 è un intero isolato di dignità e di verde tra l’asfalto di case popolari trascurate: palazzine ordinate, aiuole fiorite. I muratori di Oltre il Cibo sono al lavoro e stanno trasformando cinque appartamenti che cadevano a pezzi in bilocali ristrutturati e luminosi. Qui verranno ad abitare le famiglie che cenano a 1 euro al Ristorante Solidale Ruben e che non hanno più una casa, qui si danno da fare uomini che non avevano più un lavoro, come Jeorge Pandelica, una moglie e tre bambini: «Il più grande dei miei figli ha 17 anni, suona il violino, il più piccolo va ancora alle elementari, a scuola fa un po’ fatica ma canta benissimo, la musica è una tradizione di famiglia. Io sono carpentiere, però so fare di tutto. Lavoravo per un’impresa, dopo il 2010 siamo stati lasciati tutti a casa». Non è tanto diverso quello che è successo a Lino Esposito, tre figli anche lui: «Ho fatto l’autista per molti anni poi ho avuto problemi alla schiena e mi hanno licenziato. Ho dovuto arrangiarmi e imparare a fare un po’ di tutto». Sotto l’occhio vigile di Macario, il capocantiere, questi uomini salgono e scendono su e giù per i nove piani del condominio. Un bilocale al secondo, uno al quarto, fino ad arrivare al nono dove la luce si fa più intensa e si vede tutta la città: lo stadio, i grattacieli di City Life e persino quelli di Piazza Gae Aulenti. Kamal Badaui ha quattro figli, il più grande ha fatto il test per entrare in una scuola superiore dove imparerà a pilotare gli aerei. Kamal spera che lo prendano, se avesse potuto scegliere avrebbe voluto volare anche lui invece che fare il muratore. Indossa una camicia azzurro chiaro solo un po’ macchiata di vernice, ma ha un’eleganza che le fatiche della vita non hanno sciupato: «Sono 9 anni che aspetto una casa popolare. Ho traslocato 4 volte in 2 anni, praticamente io e la mia famiglia viviamo con una valigia in mano, anzi non abbiamo abbastanza valigie, alcune cose siamo costretti a metterle nei sacchetti. Spendo 600 euro al mese di affitto e non ho un lavoro fisso. Quando i miei figli mi dicono: “Ma papà ma dobbiamo traslocare ancora?” non ho più una risposta». Kamal si accanisce con lo stucco sulle pareti, lo liscia finché non è perfettamente levigato: «Vorrei che tutti i giorni fossero come oggi. Ti alzi al mattino e vai a lavorare, la sera ti addormenti tranquillo perché sai che hai fatto le cose giuste per la tua famiglia».

Oltre il Cibo è un progetto di housing sociale e reinserimento lavorativo a cui hanno collaborato Fondazione Pellegrini, Associazione Volontari di Ruben, Cooperativa Sociale Spazio Aperto Servizi con il sostegno di Fondazione Cariplo. E’ una delle azioni del progetto QuBì, un programma pluriennale da 25 milioni di euro (a cui partecipano con Fondazione Cariplo, Banca Intesa Sanpaolo, Fondazione Vismara, Fondazione Fiera Milano, Fondazione Invernizzi, Fondazione Snam) per il contrasto alla povertà minorile a Milano.

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Tra qualche anno traslocheranno tutti nell’avveniristico nuovo polo universitario dell’ex area Expo, ma dal laboratorio dove lavora Manuela Rollini, nella zona più moderna della facoltà di scienze agrarie e alimentari, si scorgono ancora i vecchi padiglioni di mattoni dell’antica università. Fino a poco tempo fa ospitavano ancora i grandi animali della facoltà di veterinaria: i cavalli delle forze dell’ordine, gli elefanti degli zoo: «Lì curavano qui. Quando è stata costruita l’università intorno era tutta campagna, poi questi padiglioni sono diventati troppo piccoli per i grandi animali e tutta la facoltà si è trasferita». I vecchi muri di mattoni custodiscono tante storie e molte scoperte e anche quella di Manuela e del suo team. Insieme hanno sviluppato Nanosak, un imballaggio naturale derivato dal permeato del siero di latte, un residuo del settore caseario: «questo “residuo più residuo che si può” lo usiamo per fare crescere due microorganismi, un batterio lattico che produce un antimicrobico naturale che si chiama sakacina, e un batterio che produce cellulosa, materia prima della carta. Li combiniamo insieme e formiamo un imballaggio completamente ecologico che ha un’attività antimicrobica naturale, in particolare per evitare la contaminazione da Listeria». Di Listeria in Italia non si parla spesso eppure si tratta di un batterio altamente pericoloso e con tassi di mortalità elevati soprattutto per quattro categorie di pazienti fragili come neonati, anziani, donne gravide e adulti con sistema immunitario indebolito. «È stato un lavoro d’equipe, abbiamo aggregato tre gruppi, quello di microbiologia, di biochimica e di economia, mettendo insieme competenze di laboratori vicini che spesso non dialogano tra di loro. Ci sono voluti due anni ma ora stiamo finalmente iniziando le prove sugli imballaggi. E poi facciamo un po’ di conti insieme agli economisti per capire quanto costa produrre il nostro imballaggio rispetto agli altri: deve risultare competitivo». Tanto studio e anche un po’ di buona sorte, preziosa anche quando si tratta di scienza: «Ci sono state varie fasi del lavoro fortunate, il momento che ricordo con più gioia è quando ci siamo accorti che la cellulosa, ridotta in forma nanostrutturata, agganciava selettivamente la sakacina. Non era affatto scontato, tutt’altro, ci è sembrato un segno del destino! ».
E non è l’unica buona stella che veglia sulla squadra di Nanosak. Vicino a Manuela traffica silenziosamente Chiara, giovane dottoranda al terzo anno, lunga e sottile, un vistoso pancione: «Questo progetto ci porta buono» ride Manuela: «un’altra collega ha appena partorito, e un’altra ancora è incinta. E sono tutte femmine…Nanosak è un “virus positivo” e, a quanto pare, seleziona solo bambine».

Nanosak è un progetto sostenuto dal Bando Ricerca integrata sulle biotecnologie industriali e sulla bioeconomia di Fondazione Cariplo, in partnership con Innovhub Stazioni Sperimentali per l’Industria. Finanzia progetti per il miglioramento dei processi produttivi e la validazione di nuovi prodotti biologici in settori dove il rischio ambientale è particolarmente sensibile.

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Milano ha un nuovo propulsore per la produzione musicale: le musicROOMS, ulteriore tassello nel progetto di riconversione industriale di BASE, importante acceleratore per le industrie culturali a Milano.
Per inaugurare lo spazio, in programma giovedì 20 giugno uno speciale "HOUSEWARMING DAY", con una giornata non-stop di riflessioni, visioni, concerti e dj set dalle 4 del pomeriggio fino all'alba (il programma completo è consultabile QUI). Alla base delle musicROOMS c’è l’idea di aggregare un mix di competenze e un insieme di imprese musicali selezionate per essere complementari tra loro, in modo da dar forma a un ecosistema produttivo integrato. Sullo sfondo, il resto del progetto BASE insieme a Cariplo Factory assicurano le connessioni con altri settori limitrofi della produzione culturale e delle arti industriali: arti grafiche e tipografiche, design industriale, IT e tecnologie digitali, visual and communication design, arti tessili e fashion design, industria audiovisiva, fotografia, ecc.
Con i loro 600 mq, tra spazi aperti e sale chiuse, le musicROOMS sono dotate al proprio interno di un’iconica CAPSULA, attrezzata con avanguardistico sistema di diffusione sonora
immersiva e per riprese a 360°, pronta ad ospitare live di dimensioni raccolte, showcase, anteprime.
Le musicROOMS sono un progetto di Music Innovation Hub, think tank e società di produzione musicale di orizzonti internazionali, realtà non-profit frutto della collaborazione fra tre soggetti: OXA (la società che gestisce BASE), Fondazione Social Venture Giordano dell’Amore, key investor di Music Innovation Hub, e Music Management Club SRL, con il supporto di Cariplo Factory, Fondazione Milano, Musicraiser e Fondazione Cariplo.

"Per l'industria musicale siamo all'inizio dell’era post digitale. Dopo due decenni di declino, la musica ha ricominciato a crescere, in una forma totalmente diversa rispetto al passato, con nuovi player, nuove tecnologie, nuove formule. Le musicROOMS sono qui per accogliere tutti i soggetti che vogliono esplorare con noi strade non battute" dichiara Dino Lupelli, Direttore Generale di Music Innovation Hub.

La musica costituisce uno straordinario strumento educativo e comunicativo, per la sua naturale capacità di generare innovazione, connessioni e talenti, indirizzandoli verso pubblici ampi ed eterogenei. Per questo motivo, Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore, braccio strategico e operativo di Fondazione Cariplo nell’ambito degli investimenti a impatto sociale, ambientale e culturale, ha sostenuto sia la nascita di Music Innovation Hub sia lo sviluppo delle attività di BASE Milano che lo ospita, investendo nella loro capacità di generare intenzionalmente impatto sociale e culturale, in linea con l’approccio “impact investing” di Fondazione Social Venture Giordano Dell'Amore”. Giovanni Fosti, Presidente di Fondazione Cariplo

Gli spazi che compongono le musicROOMS

Progettate dallo studio architettonico GEZA, le musicROOMS sono composte da quattro principali aree funzionali:

  • La PROJECT HOUSE, un'area di lavoro con circa 40 postazioni – assegnate a freelance e neo-imprese ad alto potenziale di innovazione con lo scopo di dar vita a nuovi progetti, stimolare la creatività e favorire la contaminazione tra i residenti, con annessa una piccola biblioteca. Cucina e area pranzo in comune con altri residenti della comunità di BASE Milano.
  • La CAPSULA, elemento iconico delle musicROOMS: un box con parte delle pareti trasparenti, attrezzato per riprese e streaming a 360° con 60 mq di auditorium e suono immersivo 3D di ultima generazione per showcase, audizioni, sessioni di ascolto e di registrazione, eventi ad inviti, workshop, fruibili in streaming. La struttura è stata progettata in collaborazione con B-beng che ha disegnato e prodotto LA CAPSULA applicando il sistema costruttivo modulare BOXY, mentre la tecnologia audio 3D è di Intorno Labs, che ha concepito e realizzato ad-hoc il sistema immersivo. Lo sviluppo del modello tecnologico è a cura di Cariplo Factory.
  • La greenROOM: uno spazio più raccolto per momenti informali di backstage, mini live, workshop, talk, chiacchiere, ma anche per riprese e shooting fotografici. Letteralmente sala verde, la green room rimanda ai teatri shakespeariani, area adibita a zona relax pre e post spettacolo, dove gli attori erano soliti ritrovarsi prima e dopo lo spettacolo in una sala piena di piante la cui umidità si pensava favorisse la voce degli attori.
  • THE OFFICE: la sede degli uffici di Music Innovation Hub e dei suoi programmi, dove tutto lo staff potrà essere sempre in contatto diretto e sviluppare più sinergie possibili con i residenti della project house.

Nelle strade di Milano c’è un nuovo museo a cielo aperto, puoi passargli accanto, intorno, davanti ma se non sai che esiste non lo vedi, perché è un luogo, anzi tanti luoghi, in cui i soli occhi non ti bastano. «Quando tu racconti alle persone come funziona l’arte aumentata, e come devi utilizzare l’applicazione che serve a far animare i graffiti, ti guardano un po’ perplessi, poi puntano il cellulare verso il murales e io vedo i loro volti cambiare: sono piccole mosse quasi impercettibili, accenni di sorriso. Ecco, quello è il momento più bello, quella piccola magia inaspettata: so che loro la stanno vivendo». Le piccole magie sono le storie che prendono vita dai graffiti delle periferie milanesi, come burattini mossi dai fili invisibili della tecnologia: lucertoloni preistorici che attraversano i muri per inoltrarsi in giungle e foreste, o che si mordono la coda in loup, per ribadire in eterno la ciclicità del tempo. Sono visi di donne fissate dagli spray degli artisti a ridosso di un cavalcavia che scuotono i capelli e corrono per le strade di città immaginarie. 

Si chiama Maua, Museo di Arte Urbana Aumentata. È un museo gigantesco e diffuso e potenzialmente infinito che scorre nelle pareti della città. Grazie a un’applicazione, sviluppata dalla cooperativa “Bepart”, 500 graffiti milanesi sono stati “aumentati” dall’opera di artisti digitali. Ogni opera, inquadrata con lo smartphone, ne genera una nuova e si trasforma in un lavoro di digital art, creato per il museo grazie a tecnologie di realtà aumentata.

Jacopo Iaccarino è uno degli sviluppatori, accompagna le persone in itinerari attraverso la città e osserva i loro volti quando inquadrano un graffito: «È un’occasione per esplorare quartieri sconosciuti e per far nascere creatività e bellezza dove non c’erano. Maua è un progetto che coinvolge decine di artisti digitali ed è diventato un format per la valorizzazione delle periferie che funziona. Dimostra che ogni operazione artistica ne può generare un'altra e valorizza opere d’arte che non vengono mai connesse e raccontate». Il territorio non è solo sfondo ma è parte del quadro: un graffito a ridosso di una stazione può dare vita a una storia digitale dove un treno sferraglia lungo una prateria, una griglia di ferro può trasformarsi in un’angusta prigione. Nella mappatura dei graffiti sono stati coinvolti gli abitanti e le associazioni della zona «La street art è spesso legata alla vita del quartiere, te ne accorgi di continuo: poco tempo fa è spuntato sul muro del Giambellino un murales di Espi che raffigura Corto Maltese perché in quei giorni era morto un personaggio simbolo della zona, chiamato il Marinaio. L’artista lo ha omaggiato così». Nel Museo 2.0 di Milano è solo l’inizio della storia, il fermo immagine prima del movimento, in attesa che un altro artista ne scriva il seguito.

Bepart è una start up che vinto la prima edizione di IC Innovazione Culturale di Fondazione Cariplo. Il programma punta ad assistere l’imprenditorialità in un ambito culturale, sostenere l’avvio di attività creative e culturali e favorire la diffusione di servizi innovativi che migliorino la produzione e la fruibilità della cultura.

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Il lunedì è il giorno di chiusura del Museo della Scienza e della Tecnologia: nei corridoi c’è un silenzio rarefatto, quasi sacro. In silenzio sono al lavoro i restauratori in un laboratorio che è un luogo che non assomiglia a nessun altro, a metà tra un avveniristico polo di scienza e il retrobottega di un corniciaio: camici bianchi, provette, barattoli di colore, taniche di liquidi trasparenti, piccoli forni, macchine misteriose. Osservare le fasi di restauro di un’opera è assistere a un privilegio che mette in scena la personificazione della pazienza con la celebrazione della bellezza. 

Le due tele schiodate dalle cornici dalle mani gentili dei restauratori sono “Lo studio dell’astronomo” e “Lo studio dell’alchimista” di un pittore veneziano del diciottesimo secolo. Nel viaggio dalla loro casa, il seicentesco Palazzo Confalonieri, sede del Centro Congressi Fondazione Cariplo, al Palazzo Ducale di Mantova hanno fatto una sosta qui, che è durata più delle attese: «Sembrava solo un problema legato ai motivi vegetali ornamentali delle cornici, ma poi ci siamo accorti che le parti del colore si distaccavano. E anche i telai erano danneggiati» racconta uno dei restauratori. Un intervento che ha richiesto due mesi di lavoro interrotto: «Abbiamo sostituito i telai danneggiati con telai nuovi per ridare tensione e poi siamo intervenuti nel consolidamento del colore: quello che si solleva viene stabilizzato e fissato alla tela per non farlo distaccare. Poi si procede con le emulsioni che permettono di togliere i residui di sporco».

In questo angolo di pace, con le finestre che si affacciano sui tetti di Milano, dove i misteri degli alchimisti sembrano essersi tramandati nelle macchine magiche che lo abitano, scopriamo che il mestiere del restauratore non è mai un’azione contro il tempo: «Il deposito è sempre un’interferenza ma la patina dorata che il quadro ha acquisito deve essere conservata. Riportarlo al suo originario splendore” è una frase senza senso perché l’opera ha la sua storia che impone di conservare i materiali costitutivi originari eliminando i fenomeni di deterioramento rispettando l’equilibrio che l’opera acquisisce con il passare degli anni, la sua identità. Dobbiamo tutelare il segno della sua storia». Perché con i quadri dell’alchimista e dell’astronomo, da Milano a Mantova e in tutti i luoghi in cui chi se ne prende cura li porterà, viaggia anche il tempo.

La Fondazione Cariplo detiene un’importante Collezione d’arte (766 dipinti, 118 sculture, 53 oggetti). Nel 2018, anno europeo del patrimonio culturale, ha promosso ‘Open’ , un tour di eventi espositivi, in collaborazione con le Fondazioni di Comunità, che ha reso accessibile l’arte a un pubblico ampio. Un’iniziativa che rientra nel progetto Artgate, dedicato alla valorizzazione della Collezione Fondazione Cariplo.

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Al confine tra la città e la campagna e tra l’agio e il disagio, intrecciano le loro esistenze famiglie che hanno bisogno di aiuto e famiglie che offrono aiuto. Si chiamano “Famiglie Solidali” e si sono conosciute nella Casa per Fare Insieme di Rozzano. In questo quartiere satellite che fatica a far posto alla sua anima migliore, all’ultima fermata del tram 15 lontano come la Luna dall’altro capolinea di Piazza del Duomo, c’è la casa che ogni bambino vorrebbe avere. Qui ci sono il calcetto, il giardino, un comodo divano blu, le pareti dipinte di giallo e stelle sui muri. Questa è anche la casa che ogni genitore ha desiderato, almeno una volta nella vita, per non sentirsi solo nel suo viaggio. È un grande appartamento luminoso dove si incontrano bambini, ragazzi, famiglie in carico ai servizi sociali, famiglie al singolare e famiglie che hanno voglia di dare una mano. Nel laboratorio di teatro, in quello di cucina, nello spazio compiti, nello sportello di educazione finanziaria e quello di mediazione familiare, sociale e legale. Alle feste e ai tornei di calcio. Dice Patrizia Bergami, responsabile del progetto: «La Casa per Fare Insieme mette in comunicazione risorse e bisogni delle famiglie, nasce per rigenerare legami sociali logorati, per sperimentare forme creative di stare insieme». Nella Casa sta nascendo il progetto delle Famiglie di Prossimità, un abbinamento tra una famiglia in carico ai servizi sociali e una famiglia che si rende disponibile a offrire il suo aiuto, per un pomeriggio alla settimana di compiti, per accompagnare i bambini a fare sport, per trascorrere la domenica insieme. Maria Massara, 49 anni, sta aspettando il suo “abbinamento”. «Sono mamma di un bambino disabile di 11 anni e, insieme a lui e a mio marito, abbiamo già fatto due percorsi di affido. Quando ci hanno chiesto se volevamo diventare una famiglia di prossimità abbiamo accettato subito. Rozzano è un contesto duro, però molti di noi vengono dal Sud, siamo abituati a questa dimensione di comunità. Si tratta di ritrovare questo senso di paese, di aiutarci l’un l’altro ma con più consapevolezza».

La Casa per Fare Insieme è un’iniziativa sviluppata nell’ambito del progetto Texére, sostenuta dal bando Welfare di comunità e Innovazione Sociale di Fondazione Cariplo. Un grande programma che ha l’obiettivo di costruire un nuovo modello di welfare incentrato sulla comunità, per superare il modello assistenzialista del welfare tradizionale e attivare la comunità a fare rete e creare percorsi condivisi valorizzando le ricchezze presenti nel tessuto sociale. 

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